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GIUSTIZIA NEL WEB


Filtri P2P negli ISP, un no perentorio dall'Unione Europea

di Alessandro Bordin, pubblicata il 25 Novembre 2011, alle 15:26 nel canale Web
“La Curia, corte di giustizia europea, ha vietato che un'ingiunzione di un giudice possa imporre a un ISP un filtraggio volto a prevenire il download illegale di file”
Nell'anno 2004 la SABAM (ente che possiamo immaginare come la SIAE belga), dopo aver scoperto che alcuni utenti abbonati all'ISP (Internet Service Proveder) belga Scarlet scaricavano dal web contenuti  protetti dal copyright senza pagarne i diritti, si rivolse al  Tribunal de première instance de Bruxelles, ovviamente per limitare o arginare il fenomeno.
Il presidente della corte, in seguito alla denuncia, ha imposto alla Scarlet, che forniva la connettività alla propria clientela, di far cessare tali violazioni del diritto d’autore, negando la possibilità ai propri clienti qualsiasi forma di invio o di ricezione mediante un programma P2P del materiale presenti nei listini SABAM.
Si tratta questa di una delle numerose limitazioni che nel tempo hanno cercato di arginare il fenomeno del download illegale, che era e rimane un problema reale, portato avanti appunto con il blocco a monte della possibilità di usufruire dei servizi P2P legato ad alcuni contenuti. La legge, però, si ritrova nel pantano di sempre, dove un problema reale e concreto si scontra con altri di natura giuridica e di diritti fondamentali, dove i confini fra tutti questi elementi diventano quanto mai sfocati.
La sentenza della Curia (Corte di Giustizia della Comunità Europea, niente a che fare quindi con l'insieme degli organi ecclesiastici), parla chiaro:
Un'ingiunzione di tale genere non rispetta il divieto di imporre a siffatto prestatore un obbligo generale di sorveglianza né l'esigenza di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà d'impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall'altro. Questa causa è scaturita da una controversia tra la Scarlet Extended SA, un fornitore di accesso a Internet, e la SABAM, una società di gestione belga incaricata di autorizzare l’utilizzo da parte di terzi delle opere musicali degli autori, dei compositori e degli editori. (Omissis).
I titolari di diritti di proprietà intellettuale possono chiedere che sia emanata un'ordinanza nei confronti degli intermediari, come i fornitori di  accesso a Internet, i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare i loro diritti. Le modalità delle ingiunzioni sono stabilite dal diritto nazionale. Tuttavia, dette norme nazionali devono rispettare le limitazioni derivanti dal diritto dell'Unione − in particolare, il divieto imposto dalla direttiva sul commercio elettronico alle autorità nazionali di adottare misure che obblighino un fornitore di accesso ad Internet a procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso trasmette sulla propria rete.
Chi si sente parte lesa dall'utilizzo illegale del web ha diritto a chiedere interventi, come è giusto che sia. Quello che la corte ha ritenuto inammissibile è una sorveglianza generalizzata delle informazioni scambiate dagli utenti, un vero e proprio controllo dei contenuti che si scontra con i diritti fondamentali (tutela dei dati personali). Continuando a citare il documento reso pubblico in rete, viene spiegato ancora meglio il problema:
...la Corte dichiara che l’ingiunzione in oggetto obbligherebbe la Scarlet a procedere ad una sorveglianza attiva su tutti i dati di ciascuno dei suoi clienti per prevenire qualsiasi futura violazione di diritti di proprietà intellettuale. L’ingiunzione imporrebbe dunque une sorveglianza generalizzata, incompatibile con la direttiva sul commercio elettronico. Inoltre, siffatta ingiunzione non rispetterebbe neppure i diritti fondamentali applicabili. Sebbene la tutela del diritto di proprietà intellettuale sia sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non può desumersi né da tale Carta né dalla giurisprudenza della Corte che tale diritto sia intangibile e che la sua tutela debba essere garantita in modo assoluto. 
Orbene, nella presente fattispecie, l’ingiunzione di predisporre un sistema di filtraggio implica una sorveglianza, nell’interesse dei titolari di diritti d’autore, su tutte le comunicazioni elettroniche realizzate sulla rete del fornitore di accesso ad Internet coinvolto. Tale sorveglianza sarebbe peraltro illimitata nel tempo. Pertanto, un’ingiunzione di questo genere causerebbe una grave violazione della libertà di impresa della Scarlet, poiché l’obbligherebbe a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e interamente a sue spese.
La corte quindi ha dato ragione al ricorso presentato da Scarlet, che ha utilizzato proprio la leva dei diritti e delle spese da sostenere per effettuare i controlli, a suo dire ingiustamente a proprio esclusivo carico. Ovviamente, non citato, troviamo anche l'interesse del provider a riprendersi molti dei clienti persi a causa della limitazione.
La corte però va oltre, estendendo il concetto anche ad ogni provider. Sempre nel documento citato, troviamo le basi per quello che appare come un dictat, da cui si deduce come il seppur legittimo diritto a proteggere il materiale coperto da copyright da un utilizzo illegale deve cedere il passo a diritti con un "peso maggiore":
Per di più, gli effetti dell’ingiunzione non si limiterebbero alla Scarlet, poiché il sistema di filtraggio controverso è idoneo a ledere anche i diritti fondamentali dei suoi clienti, ossia i loro diritti alla tutela dei dati personali e la loro libertà di ricevere o di comunicare informazioni, diritti, questi ultimi, tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Da un lato, infatti, è pacifico che tale ingiunzione implicherebbe un’analisi sistematica di tutti i contenuti, nonché la raccolta e l’identificazione degli indirizzi IP degli utenti che effettuano l’invio dei contenuti illeciti sulla rete, indirizzi che costituiscono dati personali.
Dall’altro, detta ingiunzione rischierebbe di ledere la libertà di informazione, poiché tale sistema potrebbe non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto illecito ed un contenuto lecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito. Pertanto, la Corte dichiara che, emettendo un’ingiunzione che costringa la Scarlet a predisporre un siffatto sistema di filtraggio, il giudice nazionale non rispetterebbe l’obbligo di garantire un giusto equilibrio tra il diritto di proprietà intellettuale, da un lato, e la libertà di impresa, il diritto alla tutela dei dati personali e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni, dall’altro.
La Corte risolve quindi la questione pregiudiziale dichiarando che il diritto dell'Unionevieta che sia rivolta ad un fornitore di accesso ad Internet un’ingiunzione di predisporre un sistema di filtraggio di tutte le comunicazioni elettroniche che transitano per i suoi servizi, applicabile indistintamente a tutta la sua clientela, a titolo preventivo, a sue spese esclusive e senza limiti nel tempo.
Nel passo appena citato emerge anche il dubbio che il filtraggio e l'osservazione dei dati scambiati dall'utente, oltre a violare i diritti dell'utente stesso, possa non essere in grado di distinguere materiale legale da quello illegale, portando quindi al blocco degli scambi di materiale del tutto lecito. L'epilogo è riassunto nelle ultime righe del comunicato, dove la corte risolve la questione vietando ogni tipo filtraggio delle comunicazioni che passano per un ISP, applicato indistintamente, a titolo preventivo e a sue spese esclusive.

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