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Rompicapo Pec: la postacertificat@ di Brunetta non è tutta gratis


Rompicapo Pec: la postacertificat@ di Brunetta non è tutta gratis

Il presidente di Cittadini di internet spiega i limiti della posta certificata "all'italiana".

Michela Rossetti
“Pec gratis per 50 milioni di italiani”: aveva annunciato il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta avviando il sistema di posta elettronica certificata per dialogare con la pubblica amministrazione.
E forse la parola “gratis”, forse la possibilità di dire addio alle file agli sportelli, ha conquistato gli italiani, che hanno letteralmente preso d’assalto il sito del governo con circa 20 mila accessi ogni ora, rendendo di fatto impossibile - fino a  quando è stato finalmente potenziato un sistema, che vista l'ampiezza della platea a cui si rivolgeva doveva essere "potente" fin dalla prima ora - l’agognato accesso alla registrazione (qui le "istruzioni per l'uso").
Ma la postacertificat@ di Brunetta, in realtà, non è una vera Pec, e non è completamente gratis.


Non chiamatela Pec: il nome vero è Cec-Pac

A spiegarci tutti i limiti della “Pec all’italiana” è Massimo Penco, presidente dell’associazione “Cittadini di internet” ed esperto di sicurezza informatica: “Con la ‘Pec di Brunetta’ si può dialogare con la pubblica amministrazione, certo, almeno con quelle che hanno attivato la casella certificata (ndr: sul sito dell’associazione potete segnalare le amministrazione che non l’hanno ancora resa disponibile). Ma scordatevi di poter scambiarvi documenti con i soggetti privati, quindi le banche, il vostro avvocato, o altri cittadini”.
Questo perché la Pec di Brunetta non è una vera “Pec”, ma piuttosto una Cec-Pac, ovvero una “comunicazione elettronica certificata tra pubblica amministrazione e cittadino".

Cosa non può fare la “Pec di Brunetta”

“La differenza con la ‘Pec tradizionale’ – prosegue Penco – è che non permette la comunicazione con le altre Pec, ma solo con la Cec-Pac della pubblica amministrazione”.
Facciamo un esempio: “Se sono un avvocato e ho già attivato una Pec per scambiare documenti con altri colleghi, o con i miei clienti, e voglio dialogare con la pubblica amministrazione, la mia casella già attiva non va bene. Devo per forza attivare la ‘Cec-Pac di Brunetta’. Con il paradosso che avrò due caselle di posta certificata: una ‘tradizionale’ e una per parlare con la pubblica amministrazione. Alla faccia della semplificazione”.

Non tutto è gratis: per la firma digitale si paga

Poi c’è l’aspetto economico. La Cec-Pac di Brunetta è gratis, sì. “A parte i 50 milioni di euro che paghiamo a Poste e Telecom che si sono aggiudicate l’appalto”, precisa l’ingegnere Penco.
Ma non è gratuita la “firma digitale”, che rientra tra i servizi aggiuntivi a pagamento della Cec-Pac.
Ma a cosa serve la firma digitale?
In realtà -  chiarisce Penco - la Posta elettronica certificata (che sia la Pec o Cec-Pac di Brunetta) non è esattamente come una raccomandata con avviso di ricevimento. Perché dimostra semplicemente che è stata consegnata una certa busta, ma non dice nulla sul contenuto di questa. In altre parole, chi riceve la mail certificata, in sede di contenzioso,  potrebbe sempre sostenere che lui ha ritirato sì la busta ma che, dentro essa, non c’era nulla.

Senza firma elettronica non è garantito il contenuto della mail

Con la firma elettronica - invece - non solo si può provare l’invio e la ricezione della missiva ma, addirittura, si può provare (sempre con valore legale) che il contenuto del messaggio era esattamente quello voluto.
Facciamo di nuovo un esempio con l’ingegnere per capire meglio: “Se voglio mandare al Comune la Dia per l’inizio di un’attività non basta la Cec-Pac, perché devo dimostrare che i documenti al suo interno li ho davvero firmati io. Per fare questo, mi serve la ‘firma digitale’, che non è altro che la traduzione della firma autenticata ‘a mano’.

Se la pubblica amministrazione considera solo l’indirizzo elettronico

Inoltre, non di secondaria importanza, c’è la questione del “domicilio elettronico”. Una volta inviata una Cec-Pac alla Pubblica amministrazione, infatti, questa ci invierà tutte le comunicazioni che ci riguardano non più al nostro domicilio fisico, via Pincopallo a Roma, ad esempio. Ma solo ed esclusivamente al nostro domicilio elettronico, ossia la Cec-Pac.
Un fatto che di per sé non implica nulla di male. “Se non fosse – dice Penco – che la pubblica amministrazione darà per acquisito il documento non al momento della reale lettura, ma solo al momento della ricezione nella casella”.
“Mettiamo si faccia ad Equitalia una richiesta qualunque – prosegue il presidente di Cittadini di internet – da quel momento l’ente di riscossione ci invierà ogni comunicazione solo via Cec-Pac. Poniamo che ci debba mandare una cartella esattoriale, e magari ho il computer rotto, o mi dimentico di aprire la Posta Certificata, e non vedo la comunicazione. Io la cartella esattoriale di fatto non la leggo. Ma siccome è arrivata nella casella, non c’è spiegazione che tenga, Equitalia la darà per acquisita e ricevuta”.

“Anomalia italiana”, la Pec ha troppi limiti: vale solo nel nostro Paese

Infine, ultimo “neo” della Pec rilevato da Cittadini di internet, è che non vale per le comunicazioni internazionali: “La Posta certificata ha valore legale solo in Italia, non all’estero”.
“Ed è solo – come abbiamo visto - uno dei tanti limiti”: conclude Massimo Penco. “La Pec è un’anomalia tutta italiana, usata solo nel nostro Paese. Per questo secondo noi era meglio utilizzare un diverso protocollo, chiamato “S/MIME”: un indirizzo di posta elettronica certificata certificato usato a livello internazionale che poteva superare tutte le criticità della Pec”.

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